di + Domenico Sigalini
Quella notte in cui Giuseppe e Maria giravano angosciati in cerca di un posto per la nascita del figlio c’era silenzio sulla terra, era proprio il momento del massimo silenzio.
I giochi erano fatti. Erano terminate finalmente le ore di coda sul raccordo anulare, tutti avevano fatto la spesa, avevano salutato amici, avevano riempito di pacchi l’automobile,
avevano scialato nonostante le difficoltà economiche, erano tutti a cena in famiglia, finalmente con un po’ di pace. Forse per una sera abbiamo smesso di litigare, di guardarci da soli la nostra ennesima partita o di stare in facebook o al cellulare a giocare
e ci siamo guardati in faccia. Abbiamo visto che il tempo passa, abbiamo fatto un veloce bilancio della vita, in qualche famiglia c’è un posto vuoto che ancora non riusciamo a
colmare nel nostro dolore.
Quella notte non c’era più nessun posto dovunque ti girassi. C’è sempre in ogni convivenza umana una casa che può aprire all’ultimo momento anche lo sgabuzzino più
maleodorante e sguarnito. Nemmeno quello.
La terra è tua, sicuramente non ti può contenere, ma ora non è nemmeno lo sgabello dei tuoi piedi. Signore mio è così che fai nascere il futuro del tuo popolo? E’ così
che lanci al mondo la sfida definitiva della bontà? Non hai scelto una piazza piena di gente, non hai voluto piegare alla tua volontà gli uomini che hai posto a rappresentarti in
terra. Stavano sicuri nel Tempio a controllare che tutto fosse secondo gli schemi della tradizione, diventata piuttosto una prigione. Hai scelto il silenzio. Hai scelto quello che non conta, hai deciso di non importi, come sempre, ma di proporti.
Noi ti aspettiamo altrove; ti aspettiamo nei nostri talk show: la campanella suona, parte la sigla, ma tu non entri mai. Ti aspettiamo nelle nostre tensioni economiche, ma ci
stiamo convincendo che possiamo arrangiarci da soli, e torneremo come prima; speriamo in una puntata del lotto, ma il tuo numero non esce mai. Aspettiamo un annuncio sui
giornali, ma non ci sei. Dicono sempre con monotonia che sei morto. Lo dicono a scuola con tanta saccenteria, lo dicono gli scienziati che non riscono nemmeno a descrivere
come è fatto il mondo che hanno sotto i piedi, lo dicono quelli che hanno sempre in bocca il tuo nome, solo per usarti.
Un posto ti hanno lasciato quest’anno, quello del crocifisso. Li ci puoi stare, lì sappiamo che ancora ci sei, che vieni ancora a ricominciare la tua storia d’amore, la tua
proposta di felicità, il tuo desiderio di pace. Ricominci da lì quest’anno il tuo natale: non è una culla, non è una capanna, è una parete bianca, non ancora ritinteggiata, da cui ti hanno tolto e da cui non si può cancellare l’alone della tua fine. Quest’anno riparti dalla
fine, per farci capire che non dobbiamo vedere il tuo natale come una serie di sentimenti tenui per dare placebo alla nostra sete di vita. Riparti dalla fine per dirci che quel bambino è solo e soprattutto amore puro, fino al dono della vita. Ci sveli che essere cristiani oggi è finire crocifissi sugli alberi, è condividere tende e case di legno con chi
sta vivendo su una terra sconquassata dal terremoto, è stare in carcere a morire per i calci e le botte, è finire sulle carrette del mare.
Ti riconosceremo ancora Signore. La tua chiesa, la tua fragile barca, che spesso sembra prendere scorciatoie o rimanere vittima della burrasca, è sempre ancora lì a dirci
che il tuo amore è senza condizioni, la speranza che hai seminato nel cuore di tanta gente semplice ti tiene sempre attaccato a questa terra. Noi a messa ci andiamo ancora, ci andiamo non solo a Natale; spesso non riusciamo a vederti, ma sappiamo che ci sei,
che ancora la tua parola la possiamo ascoltare, il tuo corpo lo possiamo toccare, la tua forza la possiamo sentire, il tuo spirito ci riempie di vita.
Ci metteremo in fondo o dietro le colonne come il pubblicano, abbiamo bisogno di conversione, ma aspettiamo la tua carezza che ci faccia alzare lo sguardo, che riempia di nuovo le nostre famiglie della tua speranza, della tua pace. Ritorneremo alle fatiche di
ogni giorno, le accettiamo come l’unico modo di condividere la tua passione per l’umanità, ma avremo nel cuore te piccolo bambino indifeso, all’ombra di una croce, dito puntato verso la risurrezione.
La gente con cui abbiamo ogni giorno a che fare ci dice: cùrvati, che noi ti passiamo sopra invece tu ci dici: svegliati, svegliati, indossa le vesti più belle, scuotiti la
polvere, alzati, sciogliti le catene che ti condannano al palo del tuo egoismo, del vizio che ti rende infelice la vita. Le sentinelle alzano la voce, gridano di gioia perché vedono con i
loro occhi il ritorno del Signore. Tutti vedranno la salvezza del nostro Dio.
Abbiamo bisogno di un colpo di reni, di una botta di vita. Il futuro che ci sta davanti non è una quantità di giorni, ma la larghezza di nuovi orizzonti. Quella grotta ha
aperto gli orizzonti agli uomini di duemila anni fa e ancora non sono chiusi. Gesù ci dice che in ogni difficoltà la risorsa principale siamo noi; abbiamo un’anima non solo un corpo. Abbiamo una fede non solo una abitudine, abbiamo progetti non solo adattamenti;
abbiamo la vita che è dono di Dio e che è sempre più grande di ogni nostra miseria o schiavitù.
O Signore la contempliamo in te e tu dacci sempre la forza di amarla fino alla fine.