martedì 29 dicembre 2009

Dove nasci quest’anno?




di + Domenico Sigalini


Quella notte in cui Giuseppe e Maria giravano angosciati in cerca di un posto per la nascita del figlio c’era silenzio sulla terra, era proprio il momento del massimo silenzio.
I giochi erano fatti. Erano terminate finalmente le ore di coda sul raccordo anulare, tutti avevano fatto la spesa, avevano salutato amici, avevano riempito di pacchi l’automobile,
avevano scialato nonostante le difficoltà economiche, erano tutti a cena in famiglia, finalmente con un po’ di pace. Forse per una sera abbiamo smesso di litigare, di guardarci da soli la nostra ennesima partita o di stare in facebook o al cellulare a giocare
e ci siamo guardati in faccia. Abbiamo visto che il tempo passa, abbiamo fatto un veloce bilancio della vita, in qualche famiglia c’è un posto vuoto che ancora non riusciamo a
colmare nel nostro dolore. 

Quella notte  non c’era più nessun posto dovunque ti girassi. C’è sempre in ogni convivenza umana una casa che può aprire all’ultimo momento anche lo sgabuzzino più
maleodorante e sguarnito. Nemmeno quello. 

La terra è tua, sicuramente non ti può contenere, ma ora non è nemmeno lo sgabello dei tuoi piedi. Signore mio è così che fai nascere il futuro del tuo popolo? E’ così
che lanci al mondo la sfida definitiva della bontà? Non hai scelto una piazza piena di gente, non hai voluto piegare alla tua volontà gli uomini che hai posto a rappresentarti in
terra. Stavano sicuri nel Tempio a controllare che tutto fosse secondo gli schemi della tradizione, diventata piuttosto una prigione. Hai scelto il silenzio. Hai scelto quello che non conta, hai deciso di non importi, come sempre, ma di proporti.

Noi ti aspettiamo altrove; ti aspettiamo nei nostri talk show:  la campanella suona, parte la sigla, ma tu non entri mai. Ti aspettiamo nelle nostre tensioni economiche, ma ci
stiamo convincendo che possiamo arrangiarci da soli, e torneremo come prima; speriamo in una puntata del lotto, ma il tuo numero non esce mai. Aspettiamo un annuncio sui
giornali, ma non ci sei. Dicono sempre con monotonia che sei morto. Lo dicono a scuola con tanta saccenteria, lo dicono gli scienziati che non riscono nemmeno a descrivere
come è fatto il mondo che hanno sotto i piedi, lo dicono quelli che hanno sempre in bocca il tuo nome, solo per usarti. 

Un posto ti hanno lasciato quest’anno, quello del crocifisso. Li ci puoi stare, lì sappiamo che ancora ci sei, che vieni ancora a ricominciare la tua storia d’amore, la tua
proposta di felicità, il tuo desiderio di pace. Ricominci da lì quest’anno il tuo natale: non è una culla, non è una capanna, è una parete bianca, non ancora ritinteggiata, da cui ti hanno tolto e da cui non si può cancellare l’alone della tua fine. Quest’anno riparti dalla
fine, per farci capire che non dobbiamo vedere il tuo natale come una serie di sentimenti tenui per dare placebo alla nostra sete di vita. Riparti dalla fine per dirci che quel bambino è solo e soprattutto amore puro, fino al dono della vita. Ci sveli che essere cristiani oggi è finire crocifissi sugli alberi,  è condividere tende e case di legno con chi
sta vivendo su una terra sconquassata dal terremoto, è stare in carcere a morire per i calci e le botte, è finire sulle carrette del mare.

Ti riconosceremo ancora Signore. La tua chiesa, la tua fragile barca, che spesso sembra prendere scorciatoie o rimanere vittima della burrasca, è sempre ancora lì a dirci
che il tuo amore è senza condizioni, la speranza che hai seminato nel cuore di tanta gente semplice ti tiene sempre attaccato a questa terra. Noi a messa ci andiamo ancora, ci andiamo non solo a Natale; spesso non riusciamo a vederti, ma sappiamo che ci sei,
che ancora la tua parola la possiamo ascoltare, il tuo corpo lo possiamo toccare, la tua forza la possiamo sentire, il tuo spirito ci riempie di vita. 

Ci metteremo in fondo o dietro le colonne come il pubblicano, abbiamo bisogno di conversione, ma aspettiamo la tua carezza che ci faccia alzare lo sguardo, che riempia di nuovo le nostre famiglie della tua speranza, della tua pace. Ritorneremo alle fatiche di
ogni giorno, le accettiamo come l’unico modo di condividere la tua passione per l’umanità, ma avremo nel cuore te piccolo bambino indifeso, all’ombra di una croce, dito puntato verso la risurrezione.

La gente con cui abbiamo ogni giorno a che fare ci dice: cùrvati, che noi ti passiamo sopra invece tu ci dici: svegliati, svegliati, indossa le vesti più belle, scuotiti la
polvere, alzati, sciogliti le catene che ti condannano al palo del tuo egoismo, del vizio che ti rende infelice la vita. Le sentinelle alzano la voce, gridano di gioia perché vedono con i
loro occhi il ritorno del Signore. Tutti vedranno la salvezza del nostro Dio.

Abbiamo bisogno di un colpo di reni, di una botta di vita. Il futuro che ci sta davanti non è una quantità di giorni, ma la larghezza di nuovi orizzonti. Quella grotta ha
aperto gli orizzonti agli uomini di duemila anni fa e ancora non sono chiusi. Gesù ci dice che in ogni difficoltà la risorsa principale siamo noi; abbiamo un’anima non solo un corpo. Abbiamo una fede non solo una abitudine, abbiamo progetti non solo adattamenti;
abbiamo la vita che è dono di Dio e che è sempre più grande di ogni nostra miseria o schiavitù. 

O Signore la contempliamo in te e tu dacci sempre la forza di amarla fino alla fine.



venerdì 25 dicembre 2009

S.NATALE 2009

E’ Natale ogni volta


che sorridi a un fratello


e gli tendi la mano.


E’ Natale ogni volta


che rimani in silenzio


per ascoltare l’altro.


E’ Natale ogni volta


che non accetti quei principi


che relegano gli oppressi


ai margini della società.


E’ Natale ogni volta


che speri con quelli che disperano


nella povertà fisica e spirituale.


E’ Natale ogni volta


che riconosci con umiltà


i tuoi limiti e la tua debolezza.


E’ Natale ogni volta


che permetti al Signore


di rinascere per donarlo agli altri.


Madre Teresa di Calcutta


L'Azione Cattolica di Baone augura a tutti
           un felice e sereno Natale.


Lasciarsi illuminare




Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».



Provo a condividere con voi quello che mi pare possiamo considerare come una chiave di lettura delle pagine di vangelo che la liturgia ci propone di meditare dalla messa della notte a quella del giorno di Natale. Sono aiutato in questo anche dal bel manifesto che il comune ha affisso in occasione delle feste di quest’anno. Si, perché l’attenzione di chi guarda l’immagine che è stata scelta viene immediatamente catturata dalla luce sfolgorante che proviene dal Bambino deposto nella mangiatoia.
Gesù è la luce! Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo scrive Giovanni nel suo vangelo. E’ un tema che percorre tutto il vangelo quello della luce, un segno della presenza di Dio. Pensando alla luce mi viene in mente questo: senz’altro è bellezza, ma è anche responsabilità, perché a seconda di come cade, di come illumina svela anche cose che sono nascoste o delle quali non vorremmo vedere l’esistenza.
Vogliamo, in questa notte, lasciarci illuminare, guardarci con verità, per far si che la nostra vita prenda una direzione che sia luminosa, il più evangelica possibile. Senza paura di essere giudicati, perché Dio non è un vigile, un carabiniere, un pubblico ministero, ma è un bambino: la luce proviene da lì, da quella vita povera, fragile, indifesa, consegnata, proviene da un bambino, e di un bambino non si può avere paura.
Ecco che la luce non soltanto porta un po’ di chiarezza sulla nostra vita, ma anche sul volto di Dio. Ripeto, non un giudice implacabile, ma un bambino. Ecco che forse la celebrazione di quest’oggi può diventare un’occasione importante per interrogarsi su quello che, normalmente, consapevolmente o meno riteniamo inutile o superfluo: chi sono io veramente? La mia voglia di vivere, di condividere, di relazionarmi, di fare festa con chi mi sta intorno. Ma anche il mio volto, le mie maschere, le mie paure, le mie tristezze, i miei sbagli, i miei errori. Ma anche chi è Dio, cosa c’entra con la mia vita? Per dare una risposta a questo forse possiamo immedesimarci nei personaggi di cui ci narra il vangelo questa sera.

Per qualcuno che è qui, in attesa di un bimbo: ecco che possiamo farci aiutare da loro per capire la relazione di Maria e Giuseppe con Dio, con quel Dio che si svela e manifesta non lontano, non chiuso nella sua perfezione ma al contrario un Dio vicino, povero, fragile, mite, tutt’altro che perfetto secondo certi schemi e canoni. Contempliamo Dio presente nei più piccoli per avere la possibilità di comprendere sempre meglio quanta tenerezza ci sia in Dio per ognuno di noi.

Ma forse qualcuno si può riconoscere anche nei pastori, per la loro semplicità o magari per la loro capacità di stare al loro posto, fedeli ad un mestiere duro e difficile (soprattutto d’inverno), fedeli ad un compito, fedeli ad una custodia. E’ proprio vero che il Natale ti incontra lì, se sai stare al tuo posto. I pastori, nei quali si possono riconoscere tutti gli esclusi, tutti coloro i quali non contano nulla nella società, tutti coloro i quali sono ritenuti in un certo modo spregevoli, sono oggetto di una certa predilezione: sono i primi a godere della lieta notizia.

Infine Gerusalemme, una grande città che doppiamente può essere presa come simbolo:
simbolo del rifiuto di Gesù. Non tutti si rallegrano a Gerusalemme per la sua nascita, c’è chi ha paura di questo bambino perché può portagli via il potere, c’è chi pensa che il Messia non può venire da una simile storia di umiltà, povertà, rifiuto, qualcuno lo condannerà questo bambino una volta diventato adulto, qualcuno lo ucciderà: ma su tutti questi splende quel volto del quale accennavo prima, il volto di un Dio che non viene per condannare, il volto di un Dio non accolto, rifiutato, ma che non rifiuterà mai nessuno perché il suo nome è misericordia, perdono, accoglienza, il suo nome è Emmanuele, che significa Dio-con-noi, non contro-di-noi.
Ma Gerusalemme è anche un altro simbolo secondo me: proprio perché è una grande città è il 
simbolo dell’intrecciarsi di tanti cammini, i più diversi, l’intrecciarsi dei nostri cammini che questa sera si incontrano grazie ad un bambino che ci chiama ad adorarlo. Qualcuno più affaticato dalla vita, con tante domande che bruciano dentro, qualcuno che più superficialmente si avvicina al tempio mosso da una “usanza” soltanto, qualcuno che spera di ritrovare un senso, un significato per la sua vita, qualcuno che sinceramente desidera accogliere e custodire il lieto annuncio degli angeli…

Cammini diversi dicevo, ma su tutti, proprio su tutti splende Gesù, splende quella luce dalla quale stasera siamo partiti, 
la luce vera, quella che nessuno esclude, perché illumina ogni uomo.

domenica 20 dicembre 2009

Dio viene come vita e come gioia


Dal Vangelo secondo Luca 
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore”
Allora Maria disse: “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva”.



Nel Vangelo profetizzano per prime le madri, due donne con il grembo carico di cielo, abitate da figli inesplicabili. Maria ed Elisabetta sono i primi profeti del Nuovo Testamento: la prima parola di Dio è la vita.
Dio viene come vita. Due donne, la vergine e la sterile, entrambe incinte in modo «impossibile» annunciano che viene nel mondo un «di più», viene ciò che l'uomo da solo non può darsi.
Dio viene come gioia. Per due volte Luca ripete che il bambino salta di gioia nel grembo. In quel bambino è l'umanità intera che sperimenta che Dio dà gioia, la terra intera che freme per le energie divine che in essa sono deposte ogni giorno.
Dio viene come abbraccio. La preghiera di Maria non nasce nella solitudine, ma nell'abbraccio di due donne, in uno spazio di affetto. Dio viene nelle mie relazioni, mediato da persone, da incontri, da dialoghi, da abbracci. «Le mie braccia allargate sono appena l'inizio del cerchio. Un Amore più vasto lo compirà» (M. Guidacci).
«Benedetta tu fra le donne!» La prima parola di Elisabetta è una benedizione che da Maria discende su tutte le donne. Benedetta sei tu fra le donne che sono, tutte, benedette. Ad ogni frammento, ad ogni atomo di Maria, sparso nel mondo e che ha nome donna (G. Vannucci) vorrei ripetere la profezia di Elisabetta: che tu sia benedetta, che benefico agli umani sia il frutto dell'intera tua vita.
Ogni prima parola tra gli uomini dovrebbe avere il «primato della benedizione». Dire a qualcuno «ti benedico!» significa vedere il bene in lui, prima di tutto il bene e la luce, e il buon grano, con uno sguardo di stupore, senza rivalità, senza invidia. Se non imparo a benedire chi ho accanto, la vita, non potrò mai essere felice.
Ogni prima parola con Dio abbia il primato del ringraziamento. Come fa Maria con il suo Magnificat, che è il suo Vangelo: la lieta notizia dell'innamoramento di Dio, che ha posto le sue mani nel folto della vita. Per dieci volte Maria ripete: è lui, è lui che guarda, è lui che innalza, è lui che riempie, è lui. Il centro del cristianesimo è ciò che Dio fa per me, non ciò che io faccio per Dio. Anch'io abiterò la vita con tutta la mia complessità, con la parte di Zaccaria che fatica a credere, di Elisabetta che sa benedire, con la parte di Maria che sa lodare, di Giovanni che sa danzare, portando in molti modi il Signore nel mondo. E forse verrà pronunciata anche per me la parola: Benedetto sei tu perché porti il Signore, come Maria.

domenica 13 dicembre 2009

Chi ha due vestiti, ne dia a chi non ne ha


Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: “Che cosa dobbiamo fare?”. Rispondeva: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”.
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: “Maestro, che dobbiamo fare?”. Ed egli disse loro: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”.
Lo interrogavano anche alcuni soldati; “E noi che dobbiamo fare?”. Rispose: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe”.
Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile”.
Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.

E' la domenica della gioia. "Rallegratevi nel Signore, sempre, ve lo ripeto, rallegratevi: il Signore è vicino". "Non temere, non lasciarti cadere le braccia: il Signore Dio che è vicino a te, è un salvatore potente". Quanto è importante affrontare le situazioni e i problemi della vita con la luce della fede! E' importante essere sereni, avere fiducia, non scoraggiarsi. Il Signore è vicino, con noi c'è il Signore, Lui sa di che cosa abbiamo bisogno. Anche nei momenti più difficili, vogliamo credere e sperimentare che è un Salvatore potente e farà tutto per noi, anche al di là delle nostre attese. E il messaggio del vangelo ci indica la strada della gioia che consiste nell'amore al prossimo e nella fedeltà ai nostri doveri. Giovanni Battista ci dice come dobbiamo vivere l'Avvento, come dobbiamo vivere davanti al Signore, nell'attesa di Lui, come dobbiamo vivere la vita, nella scelta dei valori fondamentali. Alla domanda: Che cosa dobbiamo fare? Egli risponde: "Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altrettanto". Quale concretezza se vogliamo vivere la conversione del cuore e della vita, se vogliamo vivere la giustizia e dare dignità e possibilità di esistenza a chi ci è fratello, ovunque si trovi! "Possiedo ciò che ho donato", ha scritto qualcuno. Sulla terra possiedo ciò che ho messo in banca per la vita eterna, possederò ciò che ho messo nella banca di Dio, che è il prossimo: la famiglia (la sana cura della famiglia), gli altri (le situazioni che incontro e nelle quali posso intervenire), i poveri e i sofferenti (presenza specifica di Cristo). Come è attuale e necessario questo richiamo nel mondo di oggi, in tante situazioni vicine e lontane! Il mondo vive le forme più gravi dell'ingiustizia: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri (o impoveriti, a causa dello spreco dei ricchi) Come cristiani siamo chiamati per primi alla conversione, cioè a servire la verità e la dignità di ogni vita, di ogni persona. Siamo chiamati a vivere la sobrietà, per non lasciarci scivolare nella logica del consumismo e dello spreco, per imparare a condividere con gli altri quanto abbiamo. Abbiamo anche il dovere di denunciare, richiamare, testimoniare, perché il mondo cambi rotta, anche se può sembrare impossibile (ma nulla è impossibile a Dio e agli uomini di buona volontà). Possiamo farlo anche con piccole azioni concrete: solo così possiamo sentirci "uomini" e "cristiani". "Chi ha due tuniche..." "E' dando che si riceve..." dice la preghiera di S. Francesco. Ognuno deve compiere bene il proprio dovere. Giovanni, ai pubblicani, risponde: "Non esigete nulla di più di quanto è dovuto"
Ai soldati ricorda di accontentarsi delle proprie paghe e quindi di non fare violenza per i propri interessi. "Dopo di me viene uno che è più grande di me". E' il momento in cui si vede la grandezza e l'umiltà di Giovanni Battista. Non è venuto per sé, non ha attirate le persone a sé, ma le ha preparate per il Cristo e ora gliele vuole affidare. Sentirà anche lui le strette al cuore dell'istinto umano, ma sa gioire perché seguono Gesù, il vero Salvatore, come faranno anche due dei suoi discepoli.

martedì 8 dicembre 2009

Avvento:attesa di un Dio che si fa BAMBINO



Tra le tante fortune che possono capitare nella vita, quella di un bambino è forse la più straordinaria.
Eccolo, il nostro biglietto vincente! Non pensiamo alla fortuna economica di una vincita alla lotteria, piuttosto a quanto si guadagna in termini di maturità umana, di crescita personale. Adulti che hanno accanto un bambino sono persone che hanno avuto un’occasione speciale per migliorarsi, per affrontare nuove sfide.
Questa fortuna è il figlio, ciascuno dei nostri figli; ma anche il nipote, il vicino di casa di cui – quando possibile – ci si prende cura, il figlio di amici, il figlioccio. Vogliamo credere che un bambino abbia la forza di rendere migliori gli adulti che gli sono accanto, di portare novità nella loro vita.

Se c’è un motore in grado di attivare processi di cambiamento nella famiglia e nella società, questo è il bambino! Basta pensare a che rivoluzione nella vita di una coppia è la nascita di un figlio: muta abitudini, ritmi, ma – a livelli profondi – anche desideri e bisogni. Riesce a mettere in discussione la scala delle priorità, a modificare gli spazi di casa, a dare voce a sentimenti prima sconosciuti.

Il bambino è in grado anche di trascinare gli adulti nei musei e nelle biblioteche, di suggerire strategie per migliorare la vita nelle città, di indurre i genitori ad assumere un ruolo di partecipazione attiva nella scuola. Accade che in molte famiglie immigrate sia proprio il bambino a tenere vivo il desiderio di integrazione. Talvolta è il più piccolo a rivelare i punti deboli della famiglia, a sciogliere i nodi e legare i fili spezzati.

domenica 6 dicembre 2009

Non lasciamoci scippare il Natale



Dal Vangelo secondo Luca
Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell'Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
“Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sia riempito,
ogni monte e ogni colle sia abbassato;
i passi tortuosi siano diritti;
i luoghi impervi spianati.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”.

Il mese di dicembre è sicuramente il più convulso. Credo sia il mese del traffico più intenso per le vie delle città, il più caotico per le poste, il più difficile per i trasporti, il più esagitato per il commercio, il più snervante per gli scioperi. Si va , si viene, si acquista, si prepara, si regala, si spende. C'è nell'aria un'attesa. Nelle nostre civiltà occidentali è al suo apice l'operazione Natale. E' purtroppo l'attesa di un mondo ricco che si concentra sul consumo, ma l'origine di questa convulsione è un fatto storico che ha cambiato il mondo, che ha diviso la storia in due: prima e dopo lui, prima e dopo Cristo. Tutto questo caos, allora, è per Lui? Stiamo perdendo la testa perché vogliamo trovargli un posto, stiamo comperando perché c'è da fargli un regalo, stiamo accendendo luci per indicargli la strada per la sua venuta, stiamo riempiendo di stelle filanti, di lustrini, di neon le nostre case per fargli trovare un posto caldo, accogliente; stiamo facendoci regali per far sparire dai nostri volti ogni traccia di mestizia, perché Lui è la gioia?! Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, raddrizzate strade, riempite avvallamenti, spianate alture.... Noi cristiani ci siamo forse lasciati scippare il Natale dai negozi. Non c'è posto per questo bambino che nasce, gli tocca cercare un altro luogo. Qui non c'è posto per lui. A meno che... A meno che, dentro questa festa del commercio, che non ci scandalizza, né ci soffoca, sappiamo recuperare una dimensione interiore, sappiamo fare spazio alla preghiera, sappiamo metter nel conto delle spese, nell'elenco delle possibilità della tredicesima un preciso impegno per il povero. Ci possono stare tutte le luci che vogliamo, purché nel tuo mese di dicembre decidi due o tre cose semplici:
- una mezza giornata di deserto in cui stacchi la spina, fai a meno di una notte da sballo, talloni   un prete o una guida spirituale per far chiarezza nella tua vita, preghi e rileggi i primi capitoli del vangelo di Luca;
- decidi una percentuale su tutte le spese che fai, da destinare ai poveri;
- accogli per alcuni mesi nella tua seconda casa gente senza tetto;
- trascorri una giornata in ospedale a fianco di chi soffre.
Così porti Speranza.
Ma io, per me, la speranza dove la trovo?